Sonntag, 24. August 2014

Anstrengend, la statistica probabilità di incontrare caproni.

Qualche mese fa ho provato la sensazione di essermi completamente ambientata qui in Germania. Avevo appreso le loro chiavi di lettura della realtà, tutto iniziava ad essere semplice, non mi stupiva più, era stato inglobato nella "comfort bubble".
Ho deciso che era giunto il momento di tornare in Italia, per guardarla con i miei occhi nuovi di zecca. Poco più di due anni fa sono partita con la convinzione che il mio Paese fosse agonizzante, se non già cadavere, vedevo solo persone lottare avendo perso la speranza di riuscire, si muovevano per inerzia, perché da qualche parte si deve pure andare, avevano tutti la sindrome de "Il Gattopardo".
Questa era l'istantanea che avevo messo in valigia allora e con cui sono nuovamente salita sull'aereo, pronta a confrontarla con ciò che mi avrebbe atteso al mio arrivo.
Fortunatamente ho dovuto ricredermi e per questo non smetterò mai di ringraziare le persone che ho incontrato in quei giorni, che mi hanno mostrato che l'Italia che amo vive, ha radici ben salde nel glorioso passato, il quale costituisce tuttora una base valida (nonostante gli innegabili difetti) su cui si può ancora costruire.
La bellezza in Italia ha un sapore diverso, non è qualcosa di accidentale che bisogna volontariamente andare a cercare in un museo, la si sperimenta ad ogni passo, ad ogni boccata d'aria ed è così tanta che, quando si è assuefatti a viverci dentro, non la si vede più, diventa rumore di fondo nel caos del quotidiano. Ma questo non potevo saperlo, prima di starle lontano per un po' di tempo. O meglio, l'avevo letto, l'avevo sentito raccontare, tuttavia, come accade per molte esperienze della vita, non si comprende appieno il significato di ciò che viene insegnato, finché non lo si è vissuto sulla propria pelle.
In questo caso, dire "pelle" è riduttivo. Quell'esperienza non è stata puramente epidermica, mi ha costretto a portare in superficie l'essenza stessa dell'essere italiana, la quale, per tutto il tempo in cui non ho messo piede in patria, è rimasta gelosamente nascosta in un angolo della mia mente, dato che la priorità era assorbire ed elaborare quello che l'ambiente teutonico aveva da offrirmi, in una relazione univoca di apprendimento. Invece lì, il dentro e il fuori erano tornati ad essere un tutt'uno. Quelle piazze, quegli affreschi, quel marmo scolpito erano me. Oppure ero io ad essere loro, o entrambi eravamo la stessa cosa.
Inutile dire che, quando sono tornata "a casa" (nonostante tutto è qui la mia casa), non ero più la stessa.

Ero partita in cerca di risposte, sono tornata piena di nuove domande e con la sfida di provare, dopo avere assimilato ed accettato luci e ombre del Paese che mi ospita, a mostrare ai miei nuovi conterranei ciò che sono, per vedere se avrebbero ricambiato il mio interesse verso di loro con altrettanta pazienza.

In tedesco la complessità ha molti nomi, uno di questi è "anstrengend", un aggettivo che può essere letteralmente tradotto con "faticoso", il che mostra da subito l'accezione negativa con cui viene utilizzato il termine. Ho imparato molto in fretta che, se vuoi integrarti, essere anstrengend è l'ultima cosa da fare. Se vieni etichettato con quest'aggettivo, non ricevi neanche la minima possibilità di esprimerti, sei stigmatizzato a priori. Il dilemma nasce quando devi comprendere dov'è il confine fra positivamente complesso e negativamente faticoso. Quello non lo insegnano da nessuna parte e, come si può immaginare, il solo porre il quesito a una persona qualsiasi, se non scelta con cura, è arduo.
Noi (italiani, intendo), abbiamo una predilezione nonché una certa venerazione per la profondità di pensiero e un'attitudine a considerare una personalità complessa e multisfaccettata come positiva, interessante. Loro la pensano diversamente, una persona piacevole deve essere anche "unkompliziert", non deve richiedere particolare sforzo per essere compresa. Eppure il comprenderli appieno richiede da parte mia un notevole lavoro di rielaborazione, il che è appassionante, non ne varrebbe la pena, altrimenti.

Quando ho preso la mia decisione, ero sinceramente scettica riguardo alle loro reazioni e sono ancora, in parte, sulla difensiva. Diciamo che l'esperimento è in corso d'opera.
Il fatto è che i cari nuovi conterranei hanno delle categorie di comprensione completamente diverse dalle mie/nostre. Per tradurre il modo in cui lo ha espresso uno dei miei perplessi interlocutori: "Inseriamo le persone in cassetti con etichette diverse". Questo, a mio parere, accade a causa dell'enorme differenza fra i nostri sistemi scolastici ma non oso neppure addentrarmi in un discorso così ampio e complicato, che mi è costato sguardi offesi e fuggite a gambe levate di più persone, come se avessi toccato un nervo scoperto.
Io non ho conoscenze culturali particolarmente profonde, né la pretesa di essere migliore di nessuno. Nonostante questo, la realtà dei fatti mi ha dimostrato l'impossibilità di avere una comunicazione conforme con qualcuno che non ha la più pallida idea di cosa tu stia parlando e che percepisce le esperienze in comune in modo completamente diverso da te. Ciò non ha niente a che fare con la diversa cultura, mi si può obiettare, due persone vivono gli eventi comunque in modo differente, ciascun essere umano ha una rappresentazione personale di quel che lo circonda. Jein. Persone con background simili interpretano gli avvenimenti in maniera simile. E qui sta la lezione che dovevo ancora imparare, tanto banale quanto importante: la distanza fra i reciproci punti di vista può rendere la condivisione incredibilmente più ricca.
Per dirla con Oscar Wilde:

"Education is an admirable thing, but it is well to remember from time to time that nothing that is worth knowing can be taught."

Devo ammettere che tale approccio mi sta regalando belle e brutte sorprese. Lo trovo un buon metodo per selezionare chi mi sta intorno. Per questo ringrazio ancora i coraggiosi che hanno la condiscendenza di starmi a sentire. So che meriterete la santità.
Come la mia (sempre più) saggia amica mi ha suggerito, è uno studio sulla statistica probabilità di incontrare caproni oppure persone interessanti. Che bella sfida!