Samstag, 20. Juli 2013

Il perfetto mix italo-tedesco

Ormai é piú di un anno che sono in Germania.
Cosí, istintivamente mi verrebbe da dire che il tempo é volato, perché soprattutto adesso mi ritrovo non so come, immersa nel weekend, dopo settimane velocissime e piene. Il sabato e la domenica sembrano per un attimo dilatarsi, poi all'improvviso si fa sera e sono cosciente che, per l'ennesima volta, i miei giorni di riposo sono finiti e l'indomani "geht's wieder los", ovvero si riprende con la routine quotidiana.
Saró matta, ma alla lunga, questa insensata velocitá diventa sempre meno accettabile.
Inizio a chiedermi se ho impiegato sufficientemente bene il mio tempo, faccio quasi un riassunto delle attivitá che ho svolto. Ho letto abbastanza? Mi sono presa cura di me stessa? Ho fatto sport? Ho passato abbastanza tempo con gli amici? Ho studiato olandese? E cosí via.
Purtroppo la risposta é permanentemente negativa. No, non é abbastanza.
O almeno non lo é per "godersi la vita" come lo intendo io.
Eppure contemporaneamente non mi riesce di trovare altri "buchi", altri frammenti di giornata da aggiungere alle attivitá che si dovrebbero fare per il puro piacere di farle.

Quando ero ancora in Italia immaginavo questo stile di vita da lontano e mi pareva equilibrato, rappresentava per me la normalitá di una persona inserita nella societá, che dunque lavora, torna a casa, fa le compere, beve un caffé con le amiche, il fine settimana esce e si diverte, va in ferie etc.
Anche vivendo giá qui, osservavo come si svolgeva la quotidianeitá dei locali e ammiravo molto che riuscissero a gestire tutte le cose che fanno si che un essere umano sia soddisfatto di se stesso.

Per farla breve, ho fortemente voluto e mi sono discretamente sudata la mia routine.
Ora, nonostante tutti gli svantaggi e i lati negativi che ha, non la abbandonerei comunque. Diciamo che ho lasciato le vecchie catene per comprarne delle nuove, mi sono costate un bel pó, ma le ho scelte io stessa e le porto in giro con fierezza, anzi, di questi tempi mi ritengo molto fortunata a potermi permettere di lamentarmi di tutto questo.

Riguardo al tempo che passa troppo in fretta, non c'é molto da fare, non dall'esterno, in ogni caso.
Sono convinta che la percezione dello scorrere dei giorni e degli anni faccia parte di una serie di filtri con cui guardiamo il mondo, allo stesso modo delle credenze e dei valori.
Cercheró di godermi di piú i singoli momenti, di apprezzare le piccole cose. Forse faró come i tedeschi, che al primo raggio di sole corrono all'esterno per non perderselo. Oppure come una mia grande amica che vive in Italia, che quando mi scrive e mi racconta di lei non dimentica mai di aggiungere "come se non ci fosse un domani".
So che é solamente un modo di dire, peró in qualche modo rispecchia una maniera di intendere la vita molto italiana, quasi spensierata, o meglio, con un occhio veloce al futuro e l'altro ben concentrato nel presente.
Qui la si pensa diversamente. Prevale la cultura della pianificazione, possibilmente non si lascia niente al caso.
Probabilmente dovrebbero imparare da noi o, chissá, sarebbe piú conveniente se noi imparassimo da loro.
Ma ho l'impressione che, come quasi per tutte le cose, se si potesse fare un mix tra costumi teutoni ed italici, si troverebbe la giusta via di mezzo per stare meglio tutti.

Peccato che ognuno sia convinto e radicato nelle proprie abitudini. Un tedesco mediamente pensa che in Italia si viva piú felicemente che in Germania, salvo poi lamentarsi di disservizi vari. Un italiano, nonostante ammetta che l' "attitude" germanica sia piú funzionale, pensa che in fondo sia frutto della tipica freddezza tedesca.
Hanno ragione e si sbagliano entrambi.
Peró solo quando vivi in modo stabile qui (puó darsi che succeda anche ai teutoni che vivono in Italia) e diventi una sorta di mostro mitologico a due teste con  mentalitá uguali e opposte realizzi quanto ci sarebbe da quadagnare se riuscissi a fonderle perfettamente.

Dienstag, 16. Juli 2013

La generazione dei creduloni

Quando si é giovani si hanno mille idee, si pensa di avere tempo, un limite indefinito entro il quale decidere veramente cosa fare della propria vita.
Poi una mattina ti svegli, i 30 sono alle porte e non sai se fai piú parte della categoria dei giovani. Non sai se hai ancora il diritto di non avere idea di cosa farai "da grande", perché ormai lo sei giá. Eppure non hai certezze. Da bravo hai studiato, tanto, tantissimo. Ma chi te l'ha fatto fare? Ci sono solo minime probabilitá che tu riesca ad affermarti nel tuo campo...
Rimani lá, nel limbo, ad aspettare. Se sei fedele alla teoria secondo cui con la costanza prima o poi otterrai ció che ti meriti, attendi pazientemente. Altrimenti ti metti a fare un lavoro qualsiasi, che non ti piace, in cui ti senti umiliato, che vorresti lasciare ma non puoi.
Questo tristissssimo ritratto rappresenta una grossa fetta della mia generazione, che io penso essere una delle piú ingenuamente credulone.
Siamo nati in un mondo ancora piccolo e ben delimitato. Chi ci ha educato ci ha fatto delle enormi promesse.
Ci avevano detto che avremmo potuto essere chi e ció che volevamo, solo volendolo, quasi magicamente.
"É un vostro diritto inalienabile", cosí avevano detto. Ci hanno dato il meglio di quel che potevano offrire in termini di tenore di vita, poiché seguivano la logica secondo cui bisogna dare ai figli (o alla generazione successiva), ció che non si ha potuto avere.
Tanti erano figli di una classe medio-bassa o bassa ed erano riusciti con sforzi enormi a migliorare la loro situazione sociale originaria. Fra l'altro pareva che questo progresso potesse proseguire all'infinito o quasi.
Mentre noi crescevamo, alimentati a pappe ed ottimismo, il mondo cambiava, cresceva, si impoveriva, si complicava. Tutto ció non é successo in un giorno. i segnali c'erano da decenni e si poteva tranquilamente intuire dove sia sarebbe andati a parare, se si fosse stati piú lungimiranti.
Questo si puó affermare solo a posteriori. "La nostra é una scienza triste" diceva un mio prof "possiamo solo commentare dopo che il disastro é successo."
Qui peró non parliamo di scienza astratta, la veritá é che ci hanno mentito. Tutti.
Che lo abbiano fatto in buona fede non cambia lo stato delle cose.
Certo, sarebbe una magra consolazione, anche un pó semplicistica, fare un sommario processo e mettere alla gogna genitori, insegnanti e chiunque sia stato, direttamente e indirettamente, un educatore. Va bene, non cedo alla tentazione.
La realtá dei fatti é che non abbiamo sviluppato gli anticorpi, né fisici, né psicologici, per uscire vincenti da questa lunga battaglia.
Quando sono partita e sono arrivata qui, ho impacchettato anche le mie speranze. Mi sono rifiutata di aver perso senza aver giocato.
Ho trovato un altro mondo, quasi opposto.
I tedeschi imparano da piccolissimi a combattere per ottenere.
Non hanno la competitivitá nel sangue, gli viene infusa dall'ambiente, con ogni azione ed ogni parola. Vengono incanalati in un sistema educativo che li forgia e li indirizza a fare scelte importanti fin da subito Se non sono giuste, il sistema li sanziona.
Cosí imparano dai propri errori e sviluppano gli strumenti adatti a farli sopravvivere, quando saranno adulti. Non per questo non si godono l'infanzia. Giocano tanto, stanno a contatto con la Natura, si sporcano, fanno sport, insomma, sono "normali", anche nel senso che noi attribuiamo al termine.
Inoltre, iniziano a lavorare prestissimo. Lavoretti per le vacanze, per i weekend, i giornali sono pieni di annunci rivolti ai teenager. Fanno di tutto, l'importante é guadagnare qualche soldino.
Allo stesso modo, decidono cosa studiare, senza crucciarsi se non sono adatti per l'universitá. Perció quasi tutti trovano un lavoro nel proprio campo di studi, vanno a vivere da soli ed ecco fatto: a 18 anni sono adulti a tutti gli effetti.
Da questo punto di vista mi sono ritrovata ad essere una mosca bianca. Non riuscivano a credere che alla mia etá non avessi una laurea né una qualifica professionale.
Eppure ho imparato in fretta a riciclarmi, e me ne é stata data la possibilitá senza impormi limiti. A qualunque etá, se sei costante, vuoi davvero qualcosa e hai le potenzialitá per farlo, ottieni ció che desideri.

Aspetta, riavvolgiamo...io questa storia l'ho giá sentita!
Eh giá, é la stessa con cui sono cresciuta, soltanto modificata in alcuni minimi particolari.
Diventare ció che vorresti, avere la vita a cui aspiri non é un diritto, devi guadagnartela. E soprattutto essere abbastanza realista da rinunciare, qualora ti accorgessi che l'obiettivo non é alla tua portata.
Non c'é vergogna nel non essere aderenti ai modelli che ci vengono presentati come gli unici  a cui rifarsi.
Beh, ci voleva molto a dirmelo 20 anni fa?

Montag, 15. Juli 2013

La dogana é nei geni

Insularitá.
Un termine che tante persone non hanno mai pronunciato nella vita e che a molte é totalmente estraneo come idea.
Se sei nato e hai vissuto la maggior parte della tua esistenza su un piccolo lembo di terra delimitato dal mare, facendo capolino solo ogni tanto per vedere il mondo lá fuori, sai di cosa parlo.
Non si puó dire che sia un concetto che riguardi solamente l'esterioritá di un essere umano. L'isola é un microcosmo, i suoi confini diventano quelli del tuo io. Lei ti appartiene ma piú di tutto tu appartieni a lei, la senti scorrere nel tuo sangue, la sua storia di conquiste e resistenze; la tua ment é forgiata nei suo monti di calcare e granito, che hanno visto trascorrere ere rimanendo immobili e non lasciandosi scalfire.
La sua cultura antica, legata alla natura, é scritta nei tuoi geni, fa di te un essere raro ed esotico, nella marea dell umanitá.
L'esterno dell'isola, il "Continente", il mondo intero, sono estranei, lontani. Tutto quel che c'é al di lá del mare é perció in qualche modo "altro" da te.
Eppure noi creature insulari ci troviamo a decine di migliaia sparse per il pianeta.Nei miei viaggi precedenti non mi era mai accaduto di sentire questa differenza.
Ecco che ora mitrovo improvvisamente nel cuore dell'Europa in mezzo a gente che é abituata a spostarsi da una parte all'altra del nostro continente senza porsi il problema dei confini. Dicono che essi si trovino solo nella nostra mente, che siano un concetto inesistente, spazzato via da Internet, dai trattati e dalle migrazioni.
Questa spiegazione mi catapulta in un'ulteriore dimensione che é per me fonte di continua meraviglia. Non smetto di sorprendermi quando, guidando su una strada qualunque, tutto ció che resta a segnalarmi il passaggio da uno Stato all'altro é un cartello blu che mi dá il benvenuto.
In un secondo la gente del posto cambia colore, abitudini, mentalitá e lingua. Ma tu resti comunque, in qualche modo, "a casa".
Tutto é vicino: Parigi, Londra, Berlino Vienna, Oslo, Varsavia sono ad un tiro di sputo quasi che basti uno sforzo di volontá a teletrasportarti dove desideri.
Solo per me questo ha dell'incredibile? Non lo so, peró lo trovo meraviglioso.